Perché ricordare il progettista Bruno Veronese, ''Capitano Black''
di Giovanni Panella
di Giovanni Panella
La sua prima barca a vela fu Mizar, un dinghy con cui da ragazzo imparò a bordeggiare tra Boccadasse e Vernazzola. Veronese si laureò poi presso l’università di Genova in Economia e in Geografia e si iscrisse all’Accademia Navale di Livorno: nel 1935 fu imbarcato come ufficiale sul caccia Dardo e negli anni seguenti sui Mas.
Anche nel corso degli anni di guerra non smise di pensare alla vela: nel 1944 scrisse il suo primo libro, Yachting, nell’Oceano Indiano a bordo dell’incrociatore Eritrea.
Terminato il conflitto, Veronese, che aveva anche la qualifica di maestro d’ascia, fu imbarcato come capitano di lungo corso. Poi, proseguendo la sua attività di progettista, divenne dirigente presso l’Ente per il Turismo di Genova. Nel panorama della vela italiana del dopoguerra Veronese si distinse per l'eleganza del tratto, che rendeva facilmente riconoscibili le sue creature.
Egli, insieme al veneziano Artù Chiggiato, fu l’interprete, spesso originale, delle nuove tendenze progettuali che pervenivano dal mondo anglosassone.
I progetti
Tra il dopoguerra e gli anni Ottanta, i disegni di yacht realizzati da Veronese furono una trentina e molti altri progetti rimasero nel cassetto. Nel 1949 la sua prima realizzazione, per uso personale, fu L’Euridice : uno scafo a fasciame sovrapposto (clinker) di 6,70 metri , che venne varato dal cantiere Passalacqua sulla spiaggia di Recco. Il suo nome era un tributo alla fregata sarda da 44 cannoni L’Euridice, varata a Genova nel 1828. La cultura di Veronese si manifestava anche nei nomi con cui battezzava le sue creature, che erano spesso scelti attingendo alla mitologia classica, sicché oggi la rilettura della lista dei suoi progetti ha un suono fuori dell’ordinario.
Resolution II, 1958 - Foto da sandemanyachtcompany.co.uk
Il suo disegno più popolare fu Flora da cui nel 1963 egli derivò per uso personale la seconda L’Euridice : era uno yacht di 9,40 metri , straordinariamente docile al timone, le cui linee eleganti si possono ancor oggi ammirare al Porticciolo Duca degli Abruzzi. Il suo approccio allo yachting gli consentiva di elaborare disegni che venivano incontro alle esigenze specifiche dei singoli armatori, mentre oggi chi visita i saloni nautici ha spesso la sensazione che gli yachts in esposizione ( costruiti in serie) siano tutti simili e che si differenzino solo per la lunghezza.
Ecco come invece Veronese presenta Pandora, uno scafo che con soli 8,50 metri di lunghezza dislocava ben 5 tonnellate: “E’ una barca nata per ragioni familiari. Fatta per marito e moglie che potessero navigare da soli o con la compagnia eccezionale di un amico. I requisiti aggiuntivi erano che avesse un’ ottima tenuta di mare, un ragionevole rendimento a vela, una buona velocità a motore…La lunghezza doveva essere la minore possibile, per poter manovrare facilmente o con equipaggio ridotto nel congestionato porto di Portofino, residenza dello yacht”
Barche da crociera minori e motor-yachts Nell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento solo pochi appassionati erano in grado di manovrare uno yacht senza dipendere dall’aiuto dei marinai: chi adottava un simile comportamento correva il rischio di passare per eccentrico, perché per un gentiluomo il lavoro manuale era considerato disdicevole. Tra i primi a promuovere la filosofia dell’andar per mare in autonomia ci fu il pittore britannico Albert Strange (1855-1917) che cominciò a produrre disegni d’imbarcazioni in epoca vittoriana.
Charmina, 1923 - Designer Albert Strange - Foto da sandemanyachtcompany.co.uk
Il messaggio di Strange, che ebbe una fortunata carriera di pubblicista, fu che scafi di otto o nove metri, che potevano essere portati anche in solitario, permettevano a un gentiluomo di passare alcuni giorni a bordo. Negli anni Cinquanta il tema dello yacht di modeste dimensioni ebbe poi un ulteriore impulso per le traversate oceaniche compiute dal Vertue di Giles, una barca la cui tenuta al mare divenne leggendaria, nonostante la sua lunghezza non superasse i 25 piedi.
Veronese, nel far riferimento a queste esperienze, progettò diversi scafi le cui forme erano scelte non tanto per raggiungere il massimo della velocità, quanto per permettere all'armatore di svolgere crociere sicure e confortevoli, tenendo d'occhio l'economia della costruzione. Queste caratteristiche rendono possibili crociere impegnative anche a yachts di dimensioni limitate e quindi possono avvicinare alla vela chi non dispone di grandi fortune.
Così Veronese divenne uno dei precursori della diffusione dello yachting, svolgendo un ruolo importante in un paese come il nostro, dove il numero di imbarcazioni era nettamente inferiore a quello di altre nazioni europee. Se infatti fino agli anni Cinquanta l’Italia aveva espresso progettisti di scafi da competizione di notevole livello, da Baglietto a Costaguta, lo yachting rimaneva pur sempre un’attività riservata a una ristretta élite.
Un altro suo filone progettuale scaturì dallo sviluppo tecnologico dei motori marini, che dopo il 1945 erano divenuti più potenti e leggeri. Già nel 1950 egli aveva progettato Selene, uno yacht di 12 metri, pensato per le navigazioni estive in Mediterraneo, caratterizzate da venti leggeri e che quindi montava un motore piuttosto potente . Quest’esperienza lo porterà in seguito a cimentarsi nella progettazione di alcuni veloci motor-sailers, come il Val II° , il Nausicaa di 16 metri, con scafo in acciaio saldato, costruito a Sturla, il Val III° di 21 metri ed infine il Ro.Ro. IV°, varati a Pisa.
Il disegno di Nausicaa - Da anb-online.it
Erano scafi innovativi, di dislocamento relativamente leggero e di pescaggio contenuto, influenzati dagli studi di J. L. Giles, tesi a realizzare dei motor-sailers che potessero utilizzare al meglio la propulsione velica. Scafi bilanciati, a tutte le andature Nel corso della sua opera Veronese ha sempre sottolineato l’importanza del “bilanciamento” degli scafi, una caratteristica che, diceva : “significa timone bilanciamento” degli scafi, una caratteristica che, diceva : “significa timone leggero, cioè una barca che non “tira” sotto qualunque angolo di sbandamento, anche con vento rafficoso.
Uno yacht è bilanciato quando, sotto qualunque combinazione di vele, una volta tesate a segno le scotte, se ne va per conto suo, senza o quasi che sia necessario toccare più il timone.”In fase di progettazione, un risultato del genere si ottiene cercando di far coincidere (o per lo meno avvicinare) il centro di carena a scafo diritto con quello a scafo inclinato, per esempio a 25 gradi, in modo che vi sia una certa equivalenza di volumi tra la parte poppiera e quella prodiera dell’opera viva".
Era l’applicazione della “teoria metacentrica” di T. H. Butler (1871-1945), un medico oculista che, da progettista dilettante, disegnò molti piccoli yacht da crociera nel corso degli anni Venti e Trenta. Butler l’aveva sviluppata dopo un incontro con l’ammiraglio Turner, che a sua volta aveva svolto approfonditi studi sulla stabilità e sul bilanciamento degli scafi in condizioni di sbandamento.
Metacentro, metacentro iniziale, prometacentro ed evoluta metacentrica su di un galleggiante di forme navali.
La teoria era fondata sul calcolo delle aree delle sezioni immerse dello scafo, perché, col variare dello sbandamento, se ne modificasse il meno possibile l’equilibrio statico.
L’opera di divulgazione
Nel dopoguerra Veronese ebbe una parte importante nella divulgazione della cultura marinara: con lo pseudonimo di "Capitano Black" collaborò assiduamente alle più importanti riviste italiane e straniere. La sua opera fu necessaria perché durante il periodo fascista il regime non aveva visto di buon occhio la circolazione delle riviste anglosassoni, anche se dedicate ad argomenti ben lontani dalla politica.
Il nostro paese era quindi rimasto al margine dallo scambio d’idee e di esperienze sviluppatosi in Inghilterra e negli Stati Uniti. A partire dal 1945, insieme alle ultime tendenze nel campo della musica, come il jazz, ed a quelle della letteratura americana, giunsero in Italia le novità dello yachting degli anni Trenta.
Queste erano dovute al successo delle regate oceaniche che, rispetto alle competizioni al triangolo, esigevano scafi che reggessero davvero il mare: non si gareggiava più nelle acque relativamente riparate del Solent o di Newport, in regate della lunghezza di qualche decina di miglia, ma su estenuanti percorsi in mare aperto di centinaia (o migliaia) di miglia.
La diffusione di queste regate aveva fatto emergere una nuova generazione di progettisti, come Giles e Stephens, le cui creazioni andavano analizzate e commentate criticamente
Scrittore brillante, Veronese diffuse poi in Italia il dibattito sulla nautica minore, che in quegli anni si imponeva nel mondo anglosassone. L’approccio divulgativo non lo abbandonerà mai: lo si può ritrovare nel suo ultimo testo , Yacht Progetto e Costruzione , scritto con il dichiarato proposito di semplificare la metodologia di progettazione e di renderla accessibile ai semplici appassionati.
I disegni di Bruno Veronese sono ancor oggi consultabili presso l’associazione “Storie di Barche”, di Pieve Ligure.
Giovanni Panella
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