Titanic: una nuova verità
di Fabrizio Fattori

di Fabrizio Fattori
La tragedia del Titanic, divenuta tragedia marittima per antonomasia, ancora oggi suscita interrogativi su come quell’episodio possa essere accaduto. Tentare di capire la causa del suo affondamento serve, forse, a ristorare la frustrazione che l’arroganza tecnologica del genere umano ha patito in quella circostanza.
Uscito dai cantieri Harland & Wolff di Belfast nel 1911, rappresentava con le sue 46.328 tonnellate e i suoi 300 metri di lunghezza la nave più imponente mai costruita al mondo capace di affrontare l’Atlantico in massima sicurezza e confort (almeno per i 350 passeggeri della prima classe).
Il viaggio inaugurale nell’aprile del 1912, affidato al capitano E.J. Smith esperto navigatore oceanico, ha inizio da Southampton il 10 del mese, non privo del brivido di una collisione con un’altra imbarcazione presente nel porto ( Il New York) esperienza già vissuta, con minor fortuna, dallo stesso capitano con la sorella minore del Titanic, la Olimpic che nella collisone con l’incrociatore Hawke aveva riportato un profondo squarcio nello scafo.
Al di là di valutazioni scaramantiche su questi episodi entrambi dimostrano come la conduzione di navi così grosse impongano attenzioni particolari data la stazza capace di risucchiare imbarcazioni più piccole. Nella notte del 14 aprile la tardiva segnalazione di un iceberg a circa 400 miglia sud-est delle coste canadesi ed il successivo inevitabile impatto, segnerà la fine della nave causando la morte di oltre 1.500 persone tra cui 34 italiani, prevalentemente addetti ai servizi di bordo.
In poche ore dalla collisione il Titanic affonda nello stupore generale non solo di chi aveva, a lungo, continuato a giocare a carte o ascoltare musica nei saloni sfarzosamente illuminati, ma anche di tutti quelli che ritenevano la nave affidabile oltre ogni limite.
Il relitto giace ora a circa 4000 metri di profondità spezzato in due tronconi a parecchi metri di distanza l’uno dall’altro. E’ stato individuato da una spedizione franco americana nel settembre 1985. Le analisi sull’accaduto spaziano dal tardivo avvistamento dell’iceberg fatto ad occhio nudo e non con i consueti mezzi ottici (i binocoli erano chiusi in un armadietto di bordo la cui chiave era rimasta in mano ad un ufficiale non imbarcatosi) e che costò il tardivo suicidio del marinaio avvistatore; alla debolezza strutturale dei rivetti (circa tre milioni) utilizzati per connettere le lamiere resi deboli dall’eccesso di scorie di fusione; alle paratie che pur separando gli scompartimenti stagni non impedirono l’allagamento poiché eccessivamente basse; alle maree straordinarie che addussero grandi quantità di iceberg nella zona del naufragio; alla grossolana progettazione dei giunti di dilatazione sino ad un’ultima agghiacciante rivelazione: un incendio sottovalutato a bordo.
Questa “verità” recentemente elaborata da un giornalista irlandese (S. Molony) parte dall’attenta osservazione di alcune foto dell’epoca dove tracce di combustione interna appaiono sulla fiancata nella zona dei depositi di carbone in prossimità delle caldaie. Tutti i tentativi di spegnere l’incendio risultarono vani ma malgrado ciò, per non disattendere le aspettative di un’opinione pubblica mondiale, circa il viaggio inaugurale della “nave più sicura del mondo”, si diede seguito al programma annunciato.
Tale ipotesi viene confermata dal fatto che alla partenza i passeggeri vennero fatti imbarcare dal lato opposto alla fiancata danneggiata. L’impatto con l’iceberg ebbe luogo, quindi, con un fianco fortemente indebolito e questo determinò una “evitabile” tragedia.
Fabrizio Fattori
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